gestione dell’allattamento al termine del congedo di maternità obbligatorio

Allattamento a rischio

Quando una lavoratrice diventa mamma, uno dei principali dubbi riguarda la gestione dell’allattamento al termine del congedo di maternità obbligatorio. La legge, però, tutela questo aspetto: l’articolo 39 del Dlgs 151/2001, che richiama l’art.10 della Legge 1201/1970, prevede che la lavoratrice possa usufruire di due ore di permesso giornaliere se l’orario di lavoro è pari o superiore a sei ore, mentre se lavora meno di sei ore ha diritto a un’ora di permesso.

Oltre a questo diritto già noto, ne esiste un altro meno conosciuto: l’allattamento a rischio.

Cos’è l’allattamento a rischio?

Si parla di allattamento a rischio quando le condizioni lavorative della madre potrebbero compromettere la sua salute o quella del bambino. Questo riguarda impieghi che comportano il contatto con agenti pericolosi o un’elevata esposizione a persone, aumentando il rischio di malattie o situazioni potenzialmente dannose.

In questi casi, la lavoratrice può richiedere un cambio di mansione per svolgere un’attività meno rischiosa. Se ciò non fosse possibile, ha il diritto di rimanere a casa percependo comunque la retribuzione.

Normativa e tutela della lavoratrice

Il Dlgs 151/2001 e il Testo Unico delle disposizioni legislative sulla tutela della maternità e paternità regolano la sicurezza sul lavoro per le donne in gravidanza e in allattamento. Il datore di lavoro e la lavoratrice devono valutare se le mansioni assegnate siano compatibili con l’allattamento. Se l’attività svolta è considerata dannosa, si deve individuare una soluzione alternativa o, in caso di impossibilità, la lavoratrice può essere esentata dal lavoro per un periodo variabile.

Quali sono i fattori di rischio?

I principali rischi che possono giustificare l’allattamento a rischio includono:

  • Agenti fisici: esposizione a radiazioni, rumori molto forti, temperature estreme. La tutela è garantita fino a sette mesi dopo il parto.
  • Agenti biologici: lavoro in reparti di malattie infettive, psichiatria, scuole o allevamenti. L’astensione può durare fino a sette mesi dopo il parto.
  • Agenti chimici: contatto con vernici, solventi, gas, polveri, mercurio, pesticidi o altre sostanze tossiche. Anche in questo caso, la tutela si estende per sette mesi dopo il parto.

Professioni come operaie, commesse, medici, infermieri, educatrici, operatrici socio-sanitarie, insegnanti, cameriere e cuoche rientrano tra quelle potenzialmente a rischio.

Durata dell’allattamento a rischio

Il periodo di astensione dal lavoro varia in base alla formula di maternità obbligatoria scelta:

  • 4 mesi di astensione se si è optato per la formula 2 mesi prima + 3 mesi dopo il parto.
  • 3 mesi di astensione con la formula 1 mese prima + 4 mesi dopo il parto.
  • 2 mesi di astensione se si è scelto di lavorare fino al parto (0 mesi prima) e astenersi per 5 mesi dopo la nascita.

Come fare richiesta

Per ottenere l’allattamento a rischio, è necessario presentare domanda all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente, indicando i propri dati anagrafici e il tipo di impiego svolto. Alla richiesta devono essere allegati:

  • Certificato di nascita del bambino o autocertificazione.
  • Dichiarazione dell’azienda che attesti l’impossibilità di spostare la lavoratrice su un’altra mansione.
  • Eventuale certificato del medico del lavoro, se richiesto.

Retribuzione garantita

L’allattamento a rischio rientra tra le astensioni obbligatorie e, quindi, la lavoratrice ha diritto a ricevere il 100% della retribuzione spettante. Il pagamento viene anticipato dal datore di lavoro, che poi verrà rimborsato dall’INPS.

Questa tutela è fondamentale per garantire alle neomamme la possibilità di allattare senza compromettere la propria salute o quella del bambino.

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