Il tema dell’utilizzo delle radiazioni ionizzanti all’interno degli studi odontoiatrici coinvolge in modo rilavante la figura dell’assistente di studio odontoiatrico.
Sebbene presupposto imprescindibile deve essere il fatto che gli assistenti non siano abilitati ad effettuare radiografie, concetto rafforzato dall’art. 110.1 del d.lgs. 230/95, non si può però negare che questi abbiano, nella pratica lavorativa quotidiana, fortemente a che fare con la radiodiagnostica, vuoi per questioni tecniche di sviluppo, gestione e archiviazione delle radiografie, vuoi perché collaborano alla protezione dei nostri pazienti dalle radiazioni ionizzanti.
Da ciò si evince quanto sia importante che all’interno di un percorso di formazione sia previsto un adeguato spazio per dei cenni di radiologia e radioprotezione (vedi allegato 3 del decreto del presidente del Consiglio dei ministri, 9 febbraio 2018).
Riguardo alla radioprotezione degli operatori sanitari, ivi compresi gli assistenti di studio odontoiatrico, dobbiamo fare riferimento nuovamente al d.lgs. 230/95 che distingue i lavoratori in base al livello di esposizione alle radiazioni ionizzanti e ci permette di ritenere gli operatori all’interno di uno studio odontoiatrico “lavoratori non esposti”, assimilabili alla popolazione per quantità di energia radiogena assorbita durante l’anno. Questo comporta che per i lavoratori all’interno dei nostri studi non esiste necessità di sorveglianza o dell’utilizzo di un dosimetro personale.
Radiazioni elettromagnetiche
I raggi X sono onde elettromagnetiche. L’insieme delle onde elettromagnetiche di differente frequenza è detto spettro elettromagnetico.
Oltre allo spettro della luce visibile sono onde elettromagnetiche un’ampia gamma di altre onde che differiscono tra loro per la lunghezza, e quindi per la frequenza, ma che sono sempre generate da campi elettrici e magnetici.
A causa della grande variabilità di frequenza le onde elettromagnetiche interagiscono diversamente con la materia che attraversano e sono di conseguenza molto vari i comportamenti, gli impieghi e le applicazioni tecnologiche delle onde elettromagnetiche.
Le onde elettromagnetiche vengono anche dette radiazioni elettromagnetiche, perché propagandosi irradiano energia.
Le radiazioni elettromagnetiche sono potenzialmente dannose per gli esseri viventi. Pensiamo ad esempio alla luce solare: i dati scientifici dimostrano che è in grado di provocare seri danni biologici.
Secondo l’Istituto superiore di sanità il melanoma, considerato fino a pochi anni or sono una neoplasia rara, oggi mostra un’incidenza in crescita costante in tutto il mondo.
L’esposizione al sole è da sempre considerata, insieme a fattori genetici, un fattore causale per il melanoma, tanto che l’esposizione intermittente e prolungata al sole sembra svolgere un ruolo fondamentale nell’insorgenza dello stesso, specialmente nelle popolazioni con scarsa pigmentazione, mentre altri studi hanno dimostrato come l’utilizzo di creme solari abbia ridotto il rischio di melanoma (Green et al: reduced melanoma after sunscreen use: randomized trial follow up. J Clinic Oncol. 2011; 29(3): 257-263; Ferlay J, Shin HR, Bray F et al, GLoBoCaN 2008, cancer incidence and mortality worldiwide; IARC CancerBase No 10 – internet. Lyon, France: international agency for research on cancer; 2010 http://globocan.iarc.fr).
Ciò ci deve far riflettere sul potenziale dannoso delle radiazioni elettromagnetiche: in sostanza quanto di più necessario c’è, insieme all’acqua, per creare la vita sul nostro pianeta, in realtà è fonte di rischio per la salute.
Rischi da esposizione
Tuttavia se l’esposizione alla luce solare e ad altre forme di radiazioni elettromagnetiche (per esempio le radiazioni cosmiche e la radiazione terrestre prodotta dal decadimento radioattivo di nuclidi primordiali) è ineluttabile e comporta l’esposizione a una dose media di 2,4 mSv all’anno (arriviamo fino a 3,3 mSv in Italia, paese dove il sole e la luce sono molto presenti), lo stesso non si può dire per altri tipi di radiazione, come le radiazioni ionizzanti che sfruttiamo in radiodiagnostica. I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche così come la luce solare, le radiazioni cosmiche o le onde radio, con frequenza superiore o uguale ai 107 GHz. Sapendo che l’energia aumenta con l’aumentare della frequenza possiamo dire che se già la luce visibile (tra 7,5.105 GHz e 4,1.105 GHz) è potenzialmente dannosa dobbiamo riflettere su quanto sia importante avere cautele nell’utilizzo dei raggi X.
Il principio base su cui si fonda la radioprotezione parte proprio da questo concetto: ogni esposizione ai raggi X deve essere considerata potenzialmente dannosa a causa dell’effetto ionizzante che le radiazioni hanno sulle nostre cellule.
Tali radiazioni si dicono ionizzanti in quanto posseggono energia sufficiente a provocare effetti di ionizzazione sugli atomi che attraversano agendo sui livelli elettronici, portando cioè all’espulsione di elettroni dall’atomo; la ionizzazione atomica da radiazioni avviene in modo diretto in piccola parte e per la maggior parte indirettamente attraverso l’energia cinetica accumulata dagli elettroni espulsi.
Avere un effetto ionizzante sugli atomi significa, a cascata, avere un effetto chimico primario, un’alterazione molecolare e di conseguenza una possibile alterazione cellulare o delle molecole di DNA presenti nel nucleo della cellula stessa.
In sostanza un’esposizione alle radiazioni ionizzanti comporta il rischio di un danno cellulare diretto o di una trasmissione ereditaria difettosa durante i processi di mitosi e meiosi che potrebbe portare a una proliferazione di cellule neoplastiche qualora dovessero sfuggire ai meccanismi di controllo dell’organismo e dell’omeostasi cellulare.
L’effetto delle radiazioni ionizzanti sulle cellule può dunque essere distinto in somatico (causerà tumori “solidi”, linfomi, leucemie) o genetico (mutazioni genetiche, aberrazioni cromosomiche) a seconda dei componenti cellulari interessati, effetto che potrà essere stato causato da un danno di origine stocastica (probabilistica) o deterministica (data dal superamento di una dose soglia).
Dunque un’esposizione è sempre legata a un rischio, il quale può essere anche molto ridotto, ma mai nullo: sebbene in radiodiagnosi si lavori assai lontani dalle dosi soglia si deve sempre considerare attentamente l’eventualità di un danno di origine stocastica.
Queste considerazioni non sono volte a creare allarmismo ma solamente ad avvalorare la necessità assoluta di un comportamento deontologicamente attento alla questione da parte dei medici odontoiatri e, secondo il parere personale di chi scrive, del personale che fa parte del team dello studio odontoiatrico, comportamento che deve esistere a prescindere dalla legislazione. Sebbene gli assistenti di studio odontoiatrico, così come gli igienisti, non possano eseguire radiografie, spesso – sotto la responsabilità dell’operatore – si devono occupare della radioprotezione del paziente attraverso l’utilizzo degli opportuni schermi protettivi.
Danni cellulari
Fortunatamente il danno funzionale alla cellula è più o meno grave in rapporto alla gerarchia funzionale delle molecole coinvolte.
Se consideriamo il numero medio di molecole all’interno di una cellula umana stimabile in alcune migliaia di miliardi e aggiungiamo che di queste circa il 70% sono di acqua, va da sé che per avere un danno cellulare sia necessario il danneggiamento di un numero elevato di molecole e quindi una esposizione a radiazioni ionizzanti di intensità e tempi di somministrazione di gran lunga superiore rispetto a qualunque indagine di radiodiagnosi, in particolar modo per le indagini di interesse odontoiatrico.
Inoltre la risposta di una cellula all’azione delle radiazioni ionizzanti dipende dalle proprie caratteristiche anatomiche e alla propria fisiologia: si parla di radiosensibilità, ovvero l’attitudine di una cellula o di un tessuto a rispondere all’azione delle radiazioni ionizzanti.
In particolare cellule e tessuti a rapido accrescimento e/o scarsamente differenziate, come ad esempio spermatogoni, ovociti, tessuto linfoide, eritoblasti, cellule del tessuto emopoietico e tessuti embrionali sono francamente radiosensibili, a differenza di neuroni, osteoni, miociti, tessuto connettivo eccetera, che sono piuttosto radioresistenti in quanto ben differenziati e a lento accrescimento. Sono, infine, a radiosensibilità intermedia gran parte degli epiteli, gli epatociti e i nefroni, le cellule esocrine del pancreas.
L’assorbimento delle radiazioni da parte dei tessuti è influenzato dall’energia della radiazione incidente, dalla densità, dallo spessore e composizione del tessuto, inoltre va considerata l’attenuazione dell’energia in funzione della legge quadratica (l’energia diminuisce con il quadrato della distanza dall’origine).
Soglie di rischio
Se pensiamo che la dose soglia per avere un rischio deterministico di sviluppare danni al cristallino è di 500-2.000 mSv, e consideriamo che, parlando di danni stocastici, la dose più bassa francamente collegata a un aumento del rischio di sviluppare un cancro è di 100 mSv, ci possiamo facilmente rendere conto di quanto si sia lontani da ogni tipo di dose correlabile ad effetti dannosi: la dose impartita a un paziente per una radiografia endorale si aggira attorno ai 5 µSv, mentre per una ortopantomografia digitale mediamente attorno ai 17 µSv. Per esami più complessi quali le TC Cone Beam si va dai 21 µSv a un massimo di 0,5 mSv (Ludlow J.B., Comparative Dosimetry of dental CBCT devices and 64-slices CT for oral and maxillofacial radiology, University of North Carolina, Chapel Hill, NC), mentre per gli esami più complessi di radiologia generale, quali PET e scintigrafia, si arriva al massimo a 5-25 mSv.
Ciò ci porta a poter considerare che le indagini radiologiche che effettuiamo sui nostri pazienti siano in realtà molto distanti da ogni tipo di rischio deterministico o stocastico, tuttavia la legge, le conoscenze tecniche e la nostra deontologia professionale ci impongono norme atte a sviluppare il maggior grado di protezione possibile per i nostri pazienti, infatti ribadiamo che ogni esposizione è sempre legata a un rischio che, seppur piccolo, non è mai nullo.
Da queste considerazioni nasce l’esigenza di conoscere e trasmettere a tutto il nostro staff l’importanza della radioprotezione, ovvero l’insieme degli accorgimenti che si mettono in opera per impedire quegli eventi di ordine chimico-fisico-biologico, che stanno alla base del danno somatico e genetico e sono secondari alla esposizione continua e prolungata a piccole dosi di radiazioni, oppure saltuaria a dosi anche relativamente elevate.
In attesa del recepimento della direttiva Euratom 59/2013 in Italia è ancora attuale il decreto legislativo 187/2000, cardine della radioprotezione, che si basa su tre principi fondamentali, ovvero il principio di giustificazione, il principio di ottimizzazione e il principio di limitazione delle dosi. Inoltre, richiamando il concetto di radiosensibilità risulta evidente quanto sia importante mantenere a caposaldo della radioprotezione l’art. 111.3 del d. lgs. 230/95, secondo cui non è consentito eseguire radiografie diagnostiche su donne in gravidanza dichiarata, salvo in reali casi di urgenza e necessità.
Parti del corpo da proteggere
Gli organi del paziente che durante gli esami radiografici di interesse odontoiatrico dobbiamo preoccuparci di tutelare maggiormente sono sicuramente le gonadi, la tiroide e il cristallino.
Solitamente il posizionamento delle schermature piombate sul paziente viene demandato agli assistenti di studio odontoiatrico, pertanto è fondamentale che sappiano quali organi stanno andando a proteggere, dove si trovano, e perché è importante preoccuparsi di essi in modo particolare.
Con una formazione adeguata diverrà automatico oltre che intuitivo capire come posizionare le protezioni: molto frequentemente per mancanza di informazioni ai lavoratori il grembiule piombato e il collarino vengono posizionati in modo da lasciare libera la tiroide, organo per cui l’aumentata esposizione alle radiazioni ionizzanti è il più importante fattore di rischio di cancerogenesi (AIRM, 2014).
Per la protezione della tiroide è d’obbligo l’utilizzo corretto di collare piombato nei casi in cui essa è in linea o molto vicino al fascio primario, sia per i bambini che per gli adulti, purché questo non interferisca con l’esame (RP 136 – European guidelines on radiation protection in dental radiology; NCRP 145 – Radiation Protection in Dentistry – 2003), mentre per la protezione del cristallino sono necessari gli occhiali protettivi. Per quanto riguarda invece l’utilizzo del grembiule piombato a protezione delle gonadi possiamo dire che la dose per un esame panoramico di routine o per esami intraorali, se vengono adoperate le procedure di buona tecnica, non supera 5 µSv, essendo tale dose dovuta in gran parte alla radiazione diffusa dal paziente. Il grembiule piombato non riduce significativamente tale dose (NCRP 145 – Radiation Protection in Dentistry – 2003), tuttavia può essere valutato dal paziente come “un’attenzione” maggiore alla sua salute e non vi sono controindicazioni al suo utilizzo.
La formazione del personale dello studio rispetto alla radioprotezione è di fondamentale importanza. Lo scopo non è chiaramente quello di formare delle figure che effettuino radiografie abusivamente ma non possiamo pensare di essere assistiti da personale non qualificato quando ci stiamo occupando di tutelare la salute dei nostri pazienti, pertanto nozioni di radiologia e di tecnica radiografica, ma soprattutto alcuni elementi di radioprotezione, devono sicuramente essere parte del bagaglio culturale del profilo ASO.