Non detto, mal interpretato: i rischi del silenzio in leadership

Pensa a quel momento preciso, magari sei in auto o a cena, in cui tuo figlio ti spara a bruciapelo quella “domanda scomoda”. Quella che ti gela, perché non sai cosa rispondere o perché la verità fa male. L’istinto di tanti genitori è scappare: si cambia discorso, si alza il volume della radio, si fa finta di niente. Sperando che il silenzio faccia sparire il problema.

Ma chiunque sia stato bambino lo sa: non funziona così. Quel silenzio non cancella la domanda, la ingigantisce. I bambini non si arrendono: se tu non gli dai la verità, se la vanno a cercare altrove. Chiedono all’amico, cercano su Google, ascoltano mezze frasi. E quasi sempre si fanno un’idea sbagliata.

Sul lavoro funziona esattamente allo stesso modo.

C’è questa strana credenza per cui un “capo” debba parlare solo quando ha la verità in tasca, scolpita nella pietra. Si pensa che stare zitti sia una scelta neutra, un “non fare danni” in attesa di tempi migliori. Niente di più falso. Il silenzio di un leader fa un rumore assordante.

Quando le cose non vanno, c’è una crisi, un calo di fatturato, o semplicemente un’atmosfera pesante, e chi guida non apre bocca, non sta “prendendo tempo”. Sta lasciando spazio alla paura. La nostra testa non sopporta il vuoto. Se tu, leader, non riempi quel vuoto con la tua voce, anche solo per dire “non lo so ancora”, le persone del tuo team lo riempiranno da sole. E fidati, non lo riempiranno con pensieri felici.

È qui che partono i famosi “film mentali”. Senza una guida che dia un nome alle cose, ognuno inizia a scriversi la sua sceneggiatura, che è quasi sempre un film catastrofico. Nessuno pensa: “Il capo starà riflettendo per il nostro bene. Tutti pensano: Ci stanno nascondendo qualcosa di grosso”, “Sicuro è colpa mia”, “Sta per succedere un disastro”, oppure “A lui non frega niente, tanto il suo posto è al sicuro”.

Il silenzio è ambiguo, e l’ambiguità genera mostri. Senza parole chiare, l’ufficio diventa un covo di investigatori paranoici. Ogni gesto diventa un indizio negativo. La porta dell’ufficio è chiusa? “È arrabbiato con me”. Oggi parla poco? “Ci sta valutando male”. Arriva un’e-mail un po’ sintetica? “Ecco, ci stanno per licenziare”.

Se non dai spiegazioni, la fiducia crolla e al suo posto entra il “sentito dire”. Il gossip diventa la nuova fonte ufficiale di notizie, e una volta che quel meccanismo parte, fermarlo è un’impresa.

Allora, qual è il vero mestiere di chi sta al comando? Non è avere la bacchetta magica. Un vero leader è quello che ha il fegato di mettere le parole anche dove fa male. Sa che parlare è l’unico modo per tenere insieme le persone quando fuori è buio. Bisogna imparare a comunicare anche il dubbio, la fatica. Dire ai propri ragazzi: “Guardate, non ho ancora tutte le risposte, è un momento complicato, ma ci stiamo lavorando e non vi lascerò all’oscuro” è un atto di forza incredibile. Perché se non lo racconti tu cosa sta succedendo, lo farà qualcun altro al posto tuo. E non lo farà per il bene del gruppo.

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia.

Se tu sei dall’altra parte, se sei un collaboratore che vive in questo silenzio pesante, cosa fai? La cosa più facile è unirsi al coro delle lamentele alla macchinetta del caffè. Alimentare la paranoia, aggiungere dettagli tragici al “film” che vi state facendo in testa.

Ecco, il consiglio vero è: smetti di scrivere quella sceneggiatura!

Spesso, chi sta sopra di te non tace per cattiveria o per complotto. A volte tace perché è paralizzato, perché ha paura anche lui, o perché è talmente sommerso dai problemi da non rendersi conto che il team è in apnea. Quindi, non restare lì a macerarti nel sospetto. Fai la cosa più difficile: bussa a quella porta.

Non andare a chiedere rassicurazioni come un bambino spaventato, e non andare ad accusare. Vacci da professionista. Dillo chiaramente: Sento che c’è un momento di stallo e questo silenzio mi rende difficile lavorare bene. Ho bisogno di capire la direzione per poterti aiutare”.

Vedi come cambia tutto? Non stai chiedendo “Cosa ci nascondi?”, stai dicendo “Voglio essere utile, ma al buio non ci riesco”. Spesso basta questo per svegliare un leader dal suo torpore.

La comunicazione è un ponte che si costruisce in due. Il leader deve fare la parte più grossa, certo. Ma se lui si blocca, tu non restare fermo sulla riva ad aspettare la pioggia. Fai il primo passo. Rompi il silenzio prima che il silenzio rompa la squadra.

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